Analisi della distribuzione insediativa...
estratto dall'originale: "Analisi della distribuzione insediativa nella Planargia in rapporto con il fiume Temo in epoca preistorica e protostorica. Uno spunto di ricerca."
Questo contributo è un complemento dello studio compiuto nel periodo 2011-2014, sull’evoluzione del paesaggio costiero della valle del Temo; parte di più vasto progetto di indagine, portato avanti anche grazie a un finanziamento PRIN su Insediamenti rurali in Sardegna tra tarda antichità e medioevo: viabilità terrestre e vie d'acqua nella dinamica dei paesaggi. Nella pianificazione del lavoro, erano state individuate alcune aree-campione, nelle quali approfondire l’analisi del rapporto uomo-ambiente, con l’approccio diacronico oltre che multidisciplinare, che richiede l'archeologia dei paesaggi. La scelta delle aree da indagare ha privilegiato territori costieri, in particolare le aree prossime alle foci dei principali fiumi della Sardegna, e la valle del Temo è stata una di queste. Come spesso accade, e questo caso non fa eccezione, la ricerca archeologica contribuisce nella progressione della conoscenza delle vicende storiche che hanno coinvolto i luoghi indagati, ma come sempre, in contro canto, genera nuovi interrogativi e stimola nuove ipotesi che hanno dignità di considerazione. Uno di queste è quella qui illustrata.
Lo scopo della ricerca era il comprendere l’evoluzione del territorio, acquisire le dinamiche insediative, partendo dall’individuazione delle risorse e dallo studio della geomorfologia, nel quadro di quella tendenza che, avviata nel mondo anglosassone, ormai nella seconda metà del secolo scorso, anche in Sardegna ha trovato sostenitori convinti.
Nello studio degli insediamenti della valle del Temo, è utile osservare come il fiume, approdo naturale e unico riparo dai mari di NW, frequenti, in questa costa, almeno per 150 giorni l’anno (Dati desunti dalle rilevazioni compiute nelle stazioni di Capo Frasca e di Alghero dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare e pubblicate nell'Atlante climatico d'Italia 1971-2000), in epoca nuragica risulti presidiato da solo due nuraghi mono-torre. Il primo posto sul rilievo di Rocca Pischinale, a oltre 270 m s.l.m., con una torre di minute dimensioni, solo 6,5 m di diametro e distante geograficamente solo 1 km dall’altro mono-torre di S. Lò posto a soli 5 m s.l.m. e circa 50 m dal corso del fiume.
Il nuraghe di Rocca Pischinale, posto su una altura impervia e difficile da raggiungere, con le sue dimensioni minime (solo 6,5 m di diametro) e la classica forma a tholos, induce sicuramente ad interpretarlo come un punto di avvistamento e controllo sul fiume, ma rappresenta anche, per la sua stessa presenza in quel luogo, una cima importante, che definisce la valle nel suo limite N, un simbolo di quell’enclave nuragica che abitava e controllava l’accesso dal mare alla Planargia nel Bronzo Recente (d’ora in avanti BR) e Bronzo Finale (d’ora in avanti BF). Questa osservazione è sostenuta dalla considerazione che il semplice controllo alla valle non avrebbe necessità di essere rappresentata da una torre, in quanto il punto è difendibile anche solo dalla difficoltà di accedervi.
Di contro il nuraghe di S. Lò, un semplice mono-torre del diametro di 11,5 m e probabilmente rasato dalle maestranze che vi hanno edificato sopra la chiesetta campestre di Sant’Eligio, risulta collocato a poca distanza dal fiume e in una piana (l’area di Prammas) alla destra del fiume, ma completamente privo di rapporti con villaggi o semplici strutture abitative.
La morfologia della Planargia disegna il corso del fiume e la valle di Bosa come un’area contornata da rilievi imponenti a N e da estesi altopiani a S. Su questi si concentrano il maggior numero di insediamenti nuragici. L'altopiano di Pedrasenta costituisce l'accesso ad un complesso sistema di sfruttamento del territorio ai fini agricoli, dell'allevamento e della pastorizia che trova ambienti ideali, in quel periodo, in tutti i vasti pianori elevati della regione. In meno della metà del territorio della Planargia (46,31% della superficie) si edificano 85% dei nuraghi censiti (Lucherini 2015, pp. 153,154). Si rivelano in questo modulo insediativo, le stesse logiche interpretative espresse da Cinzia Loi nel suo studio sul territorio del Barigadu, quando osserva una maggiore occupazione delle aree disponibili in epoca nuragica, rispetto alle fasi precedenti, certamente dovuto ad un incremento demografico. Concorda con Cinzia Loi anche Elisabetta Alba, quando sostiene la doppia valenza delle torri nuragiche poste sia a controllo del territorio ma anche delle risorse funzionali. Di analogo parere Alessandro Usai quando quando afferma come “partendo dagli isolati nuclei insediativi corrispondenti ai primi nuraghi, nella fase tarda del Bronzo Medio e nel Bronzo Recente si compie una prodigiosa colonizzazione di vaste aree di pianura, di collina, d’altopiano e di montagna”. E possibile quindi immaginare anche qui, un simile modello insediativo, nel quale i villaggi nuragici (mai indagati stratigraficamente) della piana di Pedrasenta fungono come centri di produzione delle merci, lasciando ai centri nuragici sui bordi dell’altopiano (come Albaganes e Monte Nieddu) la destinazione di luogo di scambio e di interazione con le genti del vicino oriente approdate nel ridosso del fiume Temo. Un modello evolutivo, attento alle dinamiche commerciali trasmarine, simile a quello che ritroviamo nel villaggio di sant'Imbenia, nella baia di porto Conte.
Se questa lettura delle dinamiche insediative, per il controllo e lo sfruttamento del territorio, trovasse conferme diventerebbe necessario inquadrare la posizione dei due nuraghi di Albaganes e di Monte Nieddu.
La loro collocazione elevata di circa 300 m s.l.m. e affacciata alla valle del fiume conferma una pratica ormai riconosciuta di collocare gli edifici nuragici in corrispondenza dell'orlo del pianoro, in particolare sulle propaggini avanzate di esso, in posizioni a guardia delle piane sottostanti e delle pendici dell’altopiano. Si rileva chiaramente, nella scelta del luogo in cui edificare le torri, una attenzione al controllo del territorio, in questo caso la porta di accesso dal mare della Planargia, ma senza acquisire le caratteristiche di fortificazioni finalizzate alla difesa militare degli ambiti controllati. Dobbiamo necessariamente considerare questo controllo, esercitato dai due nuraghi, in rapporto ad un ampio areale comprendente tutti gli altopiani limitrofi e definendo per ogni edificio una natura specifica e specializzata. Una pratica osservabile a partire dalla fine del Bronzo Medio (in seguito BM) e per tutto il BR che denota una progettualità estesa e una consapevolezza nell’organizzazione dei territori.
Elisabetta Alba definisce “moduli territoriali” questo sistema di gestione del territorio. Presuppone una organizzazione sociale di tipo cantonale, che raggruppa tutta la popolazione di un territorio individuabile attraverso il metodo analitico dei poligoni di Thiessen e della Nearest Neighbour Analysis, con la possibile conferma dell’esistenza di una chiefdoms nella Sardegna nuragica, che trova riscontro con le tracce dei gruppi omogenei nel territorio. Dello stesso avviso la ricostruzione antropologica di Francesca Cadeddu nell’immaginare una Sardegna dove nella società nuragica comanda un singolo individuo, collocato al vertice della scala gerarchica. Egli dispone del controllo ma anche la responsabilità di un vasto territorio omogeneo ed è coadiuvato da sottoposti, leaders locali dei loro raggruppamenti umani. I nuraghi hanno fra le altre, la funzione di rappresentare l’importanza sociale di cui le élites dispongono. Così con la graduale differenziazione delle classi sociali nel corso del BR corrisponde il proliferare di edifici complessi, che identificano i centri di potere. L’accumulo di ricchezza, aumenta il divario fra le classi sociali, ed assume la struttura in un sistema di tipo feudale, dove il capo esercita il comando politico, militare e religioso. Il territorio subisce un controllo capillare con uno strutturato sistema di sfruttamento. Una piramide sociale che interagisce nel Mediterraneo occidentale alla pari con le altre etnie e arriva, sul volgere del BF, ad abbandonare l’edificazione delle torri, pur continuando ad utilizzarle e considerarle elementi identitari della propria genia.
Nel BF la differenziazione sociale trova una testimonianza attendibile, nella pratica di sepoltura individuale e nella bronzistica che raffigura personaggi di elevato status sociale e dall’adozione di una diversa architettura dei villaggi, costituiti da capanne raggruppate intorno a cortili comuni alle abitazioni che vi si affacciano, e vere e proprie piazze, funzionali allo scambio. Una visione condivisa da Hayne che suggerisce l’ipotesi di una regia e una pianificazione dello spazio sconosciute in precedenza, con una predisposizione agli scambi evoluta e sistematica come testimoniato, fra gli altri, dal sito dell’Acropoli di Lipari, nelle isole Eolie in Sicilia, che sottolinea il ruolo essenziale svolto dalle comunità nuragiche dell’età del Bronzo nell’ambito dei cambiamenti in atto nel Mediterraneo occidentale.
Con la nascita delle élites socialmente più elevate e la logica di un controllo delle dinamiche insediative più capillare, appare quindi acquisito, dall’intera comunità scientifica, il riconoscere una tendenza generale, che si ripete costantemente in tutta l’isola, di controllo capillare del territorio, attraverso il posizionamento delle torri negli altipiani, raramente al centro di questi, più frequentemente ai bordi o sui versanti e i pendii. In alcuni casi posizionati anche su rilievi difficilmente accessibili, più o meno isolati, con compiti diversi, prevalentemente di controllo degli accessi, nell’evoluzione della società che si trasforma verso la creazione delle classi sociali, come ricordano Franco Campus e Valentina Leonelli quando affermano: “A partire almeno dalla seconda fase del Bronzo Recente i dati archeologici sembrano indicare il passaggio ad un nuovo assetto socio-economico, che – adottando gli schemi proposti da Renato Peroni per l’Italia continentale - potremo definire gentilizio-clientelare preurbano”.
Cosi la posizione del nuraghe Monte Nieddu e del nuraghe Albaganes, posti al bordo dell’altopiano che domina la valle del Temo da S, li identifica, secondo questa analisi, come varchi di accesso alla Planargia, per quei prospector levantini che percorrevano la costa occidentale della Sardegna fin dalla metà del II secolo a.C.. Una visione del ruolo della civiltà nuragica nella seconda metà del II millennio a.C. che pone la Sardegna al centro del Mediterraneo, non solo dal punto di vista geografico, ma anche come terminale per gli scambi commerciali, testimoniati dagli incrementati rinvenimenti in Sardegna di materiale miceneo prima, e levantino successivamente.
Oltre alla posizione dominante sulla valle, i due nuraghi hanno purtroppo in comune una limitatissima storia di ricerche. Fanno parte di un intero sistema di nuraghi che si affacciano alla valle del Temo. Oltre all’Albaganes e il Monte Nieddu vi sono i nuraghi Salisarda, Lighedu, Ulumedu, Multa Ratta, Sirone e Uras.
Il nuraghe Albaganes, sito nella località Costa su Anzu, nelle vicinanze della fonte omonima, individuabile nella carta IGM al foglio 206 IV NO Bosa, ha un altezza sul mare di 319 m. È posto a poca distanza dal nuraghe Monte Nieddu a W e al nuraghe Salisarda a E. È un mono-torre con una altezza residua di soli 3,3 m. È stato interessato da numerosi crolli che permettono comunque di individuare l’ingresso a E sormontato da una poderosa architrave. Nella struttura si riconosce la tecnica a tholos con un diametro della camera interna di circa 4 m. L’edificio è stata edificato con pietre di grosse e medie dimensioni appena sbozzate e disposte in filari regolari. Non è mai stato interessato da indagini archeologiche, ma è presente solo in descrizioni o censimenti dell’800 e dei primi decenni del secolo scorso dove, in un caso, venne individuato nel territorio del comune di Suni. L’ Angius lo descrive posizionato sui due rilievi più elevati del territorio di Modolo e distante circa mezzo miglio dal nuraghe Monte Nieddu.
Il nuraghe Monte Nieddu sorge sull’omonimo rilievo ed è individuabile nella carta IGM al foglio 206 IV NO Bosa. È posto ad un’altezza sul mare di 292 m. Si compone di una torre costruita sul dirupo e di un poderoso antemurale. Immerso com’è nella vegetazione arbustiva, risulta di difficile lettura e viene descritto con una diametro esterno di circa 9,10 m e un diametro della camera interna di 3,5 m. Si riconoscono 5 filari in situ con un’altezza massima di 2,70 m. L’edificazione è avvenuta impiegando pietre di grosse dimensioni, poste in filari orizzontali, non sempre regolarmente allineati. La torre era stata consolidata in antico con una rifasciatura (segno evidente di un utilizzo prolungato nel tempo) che si conserva con una larghezza compresa da 2,5 a 4 m e una lunghezza di 8 m. Di quest’opera di consolidamento è presente un solo filare, composto da grosse pietre, con un altezza residua inferiore al metro. Nella parte non difesa naturalmente dallo strapiombo, troviamo un antemurale distante dalla torre circa 20 m, con un andamento curvilineo, di cui residuano circa 30 m di tracciato con un’altezza massima di 1,30 m, recante due filari ancora in situ. Inserite nell’antemurale due torri minori, di diametro rispettivamente di 4,70 m (torre A) e di 6,25 m (torre B), distanti fra loro 8,90 m; di queste torri secondarie residua dell’edificio solo un filare. Adiacente al nuraghe i resti di un ampio villaggio con una frequentazione protrattasi fino al periodo romano.
Ivan G.M. Lucherini
nda dal presente articolo sono state omesse le citazioni bibliografiche a corredo degli assunti del testo. Chi volesse avere la versione completa può richiederla all’indirizzo mail ivanlucherini@gmail.com
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